Più coraggio e ricette comuni, Brevi note di storia della cucina, utili a lanciare un'idea
  2017-07-05 09:54:45  cri
Più coraggio e ricette comuni

Brevi note di storia della cucina, utili a lanciare un'idea

di Giuliano Manzi

Agli inizi del novecento in Occidente si era soliti affermare che il miglior servizio al padrone di casa venisse offerto da una squadra dove il maggiordomo fosse inglese, il cuoco cinese, il cameriere italiano e l'autista tedesco. Come si vede, la capacità operativa cinese era data per certa, mentre le materie prime alimentari non erano però i prodotti dell'Impero di mezzo, bensì quelle dei luoghi in cui gli chef cinesi operavano. Il loro prodotto non lasciava tracce né ricette, ma veniva apprezzato dalle famiglie benestanti, che decantavano il prodotto finito e vantavano ciascuna le capacità del proprio cuoco. Il flusso della conoscenza si è sviluppato dopo la seconda guerra mondiale, quando abbiamo iniziato a godere della cucina cinese preparata e prodotta da veri cuochi cinesi. La spinta propulsiva orientale animò molto la curiosità occidentale, facendo si che le due cucine iniziassero a camminare parallelamente. Abbiamo così potuto riallacciarci a conoscenze medioevali ed a sistemi di cottura e preparazione arcaici e rivivere una scuola antichissima, di cui in epoca medioevale (e poi grazie a Marco Polo) avevamo conosciuto alcune ricette: una scuola che ha forgiato l'identità stessa del Paese e dove preparare il pasto si collegava in epoca remota a momenti rituali.

La figura del cuoco è ed è stata però, nei secoli, una figura controversa. Più volte osannata o denigrata, considerata insulsa ed inutile, apprezzata dai ricchi e dai nobili, screditata dai poveri, che vedevano in lui un servo del padrone. Niente di più falso e controverso. La storia ci ha dato l'opportunità di poter ri-valorizzare la sua figura professionale ammirando la sua capacità, inventiva, preparazione, l'essere il creatore di alimenti particolarmente gustosi e di piacevole aspetto.

E questo vale per l'Occidente come per l'Oriente. Mi limito ora a brevi cenni riguardo al primo.

Circa tremila anni fa alla corte Assiro – Babilonese il cuoco era considerato come un medico ed un ottimo consigliere, giacchè con i suoi pranzi dimostrava la grandezza del proprio signore. Ciò ovviamente non era alla portata di tutti, anche allora vi erano le bettole e le hostarie frequentate dai meno abbienti, dove il cibo veniva preparato quasi a "piatto unico", in modo spiccio e non troppo accattivante.

Passarono circa mille anni prima che questa professione divenisse più abbordabile e fruibile anche da un ceto medio. I primi cuochi Italiani nacquero in Sicilia, nella Magna Grecia conquistata da Roma, che mostrava tutta la sua opulenza commerciale, con mercati ricchi di alimenti provenienti da tutto il mondo allora conosciuto. Il cuoco era considerato l'interlocutore primario nei pranzi e nelle cene che si preparavano per ogni tipo di ricorrenza.

Ma l'arte culinaria per eccellenza nacque a Roma, dove anche i più poveri divennero estimatori di questa sapienza che trasformava alimenti semplici, anche se saporiti, in apprezzati piatti pieni di gusto.

Il primo secolo d.C. fu il primo apogeo della cucina e dei cuochi, che assunsero un ruolo importante nella storia dell'alimentazione. Sceglievano i prodotti migliori e trovavano il modo di mutarli in manicaretti eccezionali per forma e per sapore. Questo fu anche il secolo che immortalò i cuochi: la categoria aveva assunto nella civiltà del tempo un posto di prima fila.

La loro attività, ormai qualificata, era scandita da tempi precisi sia per la spesa che per l'organizzazione della cucina, che veniva preparata, ed era pronta ad accogliere gli alimenti che il cuoco sceglieva e portava dal mercato. In quel periodo i cuochi si unirono in corporazione (la thiasi, il primo organismo che stabiliva il costo della prestazione culinaria offerta.) All'epoca si affittavano intere brigate di cucina, come i catering di oggi, guidate dall'archimagirus, organizzatore, capo della cucina e sovrintendente all'acquisto delle derrate alimentari: era lui che trattava con i clienti, sceglieva i prodotti, preparava le ricette che venivano eseguite dal vicarius supra cocos, l'attuale capo partita, e quindi dai vari cocos operatori, gli attuali comì di cucina. Le qualità dei cuochi erano rispettate per la loro professionalità nel saper trattare gli alimenti.

Sempre in quel periodo avvenne una ulteriore metamorfosi: ci fu il primo cuoco che scrisse e tramandò ai posteri le sue ricette, Marco Gaio Apicio, un fantastico crapulone del I° secolo d.C., che non solo scrisse le sue ricette ma ci lasciò un insieme di notizie relative anche alla scelta dei prodotti che cucinava. Purtroppo di quanto scritto ci è arrivato ben poco, ma quanto basta per dimostrare che la cucina è una cosa seria!

Passarono i secoli. Con l'imbarbarimento della civiltà Romana e l'abbandono dei campi non più lavorabili a causa delle continue scorrerie dei saraceni da sud e dai barbari da nord, la buona cucina finì nell'oblio. Purtroppo si dovette attendere fino al Rinascimento affinché i cuochi potessero di nuovo cimentarsi e ritornare ai fasti e le leccornie di un tempo.

Maria e Carolina dei Medici furono due regine e valide cuoche che trasferirono in Francia le loro capacità culinarie e capovolsero le abitudini locali, creando le basi della futura cucina francese.

Quel periodo fu ricco di novità alimentari, arrivarono dall'America nuovi prodotti (mais, pomodori, patate, cioccolato tra i più interessanti) e nuove spezie (come il peperoncino ed altri tipi di frutta) che i cuochi riuscirono a conoscere ed apprezzare tramutandoli in ottimi piatti, tutt'ora validi intingoli. Contemporaneamente ad Est si svilupparono scuole parallele che insegnarono a diversificare i cibi elaborando sistemi di cottura di ottimo successo.

Arriviamo subito ai giorni nostri: troviamo cuochi pronti a cimentarsi con il nuovo grazie a tutta la capacità e la cultura che traggono dall'insegnamento delle scuole alberghiere, da cui per lo più provengono.

La cucina cinese che noi conosciamo ha otto scuole ma una varietà enorme di elaborati, una cultura gastronomica immensa che dobbiamo sempre di più scoprire e con la quale vogliamo misurarci.

In conclusione, credo perciò che gli istituti di formazione dovrebbero aiutare i nostri giovani talenti a crescere nella consapevolezza che questo dialogo è ormai ineludibile e che anzi vadano incoraggiati una sperimentazione, una serie di scambi, e perchè no, anche un'ibridazione. Con coraggio, creare più ricette comuni. Gli incontri, con scambi di conoscenze, restano la via migliore per apprezzarsi a vicenda nella maestria dell'arte culinaria.

(l'autore è eno - gastronomo e storico della cucina)

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