Massimo Spigaroli: uno chef Michelin e il suo Culatello di Zibello
  2018-08-15 14:51:31  cri
CINITALIA:Potrebbe dirci qualche parola di presentazione per Lei e per il suo ristorante? Che tipo di ruolo svolge la cucina nella sua vita? Ci sono stati dei cambiamenti nella sua vita e nel suo modo di vedere la cucina dopo essere diventato uno chef Michelin?

Massimo Spigaroli : Io nasco con un'idea ben precisa di vita. Da bambino sognavo di fare il cuoco e l'ho fatto; sognavo di portare avanti il sistema della mia famiglia, ossia continuare a produrre tutti quelli che erano gli ingredienti per fare una buona cucina. Noi siamo agricoltori, produttori di salumi e ristoratori, quindi tre lavori in un uno. Parliamo quindi di un sistema importante che ci fa capire, anche, quanto sia importante la terra per fare una buona cucina: il prodotto che tu coltivi, che tu senti nel cuore e che pian piano porti avanti, non lo abbandoni, non lo dai ad altri; ma lo accompagni alla sua sublimazione, che consiste nel farlo diventare un piatto importante, qualcosa di molto buono in grado di dare personalità al prodotto. Il cuoco è una persona con una grande responsabilità: perché lui arriva alla materia prima, che proviene dalla terra e dal contadino, e alla fine lui ne decide le sorti. La può far diventare molto importante, oppure la può distruggere. Ogni cuoco deve quindi sentire questa responsabilità. Pensavo di fare il cuoco e l'ho fatto; pensavo di portare avanti l'azienda agricola di famiglia e l'ho fatto; pensavo di continuiare a trasformare tutto quello che producevamo ed è quello che sto facendo. Quando arriva la stella Michelin sicuramente ti cambia la vita, però è un riconoscimento ottenuto per quello stai facendo e che hai fatto; quindi non è che da quel momento devi cominciare a stravolgere e a cambiare tutto. Devi solo continuare a fare ‒ mi permetto di dire ‒ con più attenzione, quello che stai facendo; devi essere tranquillo e capire che non devi cambiare, ma continuare sulla strada intrapresa, perché altrimenti la stella non te l'avrebbero data.

CINITALIA: Oggi molte persone cercano un senso di ritualità nel fare le cose. Secondo lei questo è necessario anche nel mangiare? Qual è il suo modo di percepire la ritualità? Le è mai capitato di mangiare nei fast food? L'Italia è il luogo di origine del movimento Slow Food, Lei cosa pensa di questo?

M: Il cibo deve essere buono a tutti i livelli. Un panino deve esser fatto bene, con il pane fresco e alla temperatura giusta, se è con del salume deve essere con un salume buono. Quindi non c'è un cibo che è necessariamente peggiore o migliore dell'altro. Per quanto riguarda il fast food, penso che sia un movimento importante e quando le cose hanno successo è, sicuramente, perché c'è anche qualcosa di buono. Non sono, quindi, uno di quelli che dice: ‒ Mai! Eccetera, eccetera… Ogni tanto vado e lo apprezzo per quel che è, ma più che altro capisco che non è un cibo da poter mangiare tutti i giorni. Io sono nato con il movimento Slow Food. Ho conosciuto Carlin Petrini nel 1998, abbiamo fatto un grande evento insieme quando si chiamavano ancora Arcigola. Sono uno dei pochi eletti tra le 15 persone scelte per scrivere un pensiero su Carlin Petrini. Quindi, nel libro dedicato a Carlin Petrini fatto dai suoi amici, c'è anche un mio pensiero. Il movimento Slow Food ha cambiato la vita in Italia e nel mondo, perché ha responsabilizzato chi manipola il cibo, ha dato dignità agli agricoltori, ai produttori e ai trasformatori, ma più che altro sta creando un'attenzione particolare verso il cibo. Il cuoco accreditato deve essere anche un po' "verde" nell'anima, deve avere un sentimento che lo lega alla terra. Se tu hai questo, sicuramente, apprezzi questo movimento, ma più che altro capisci come sia importante anche portare avanti in prima persona, con la tua cucina, questo sistema. Non vuol dire che uno è un grande chef se cucina gli asparagi tutto l'anno o se usa le ciliegie a Natale; ma, forse, è ancora più grande se usa le cose di stagione e, se i prodotti provengono da luoghi non lontani dalla sua casa, sicuramente farà una cucina del suo territorio, legata al suo micro-clima e legata a un pensiero della sua terra.

CINITALIA: Qual è il suo punto di vista sulla cucina italiana e quali sono gli aspetti di cui questa deve andare fiera? La straordinaria bontà della cucina italiana è ampiamente riconosciuta nel mondo, Lei cosa ne pensa?

M: La cucina italiana ha avuto una grande fortuna nella sfortuna della storia italiana, che è stata divisa fino a 160 anni fa. Questo sicuramente le ha giovato, perché ha avuto a disposizione "tanti orticelli, tanti campanili e tante campane che suonavano in modo diverso" che sono diventate poi la base della cucina italiana. Una cucina che guarda al futuro, cercando di portare avanti la sua diversità, ma che comunque ha un gusto complessivo che è un gusto italiano. Questo è il bello dell'Italia, è un lusso che nessun altro Paese si può permettere. Alla fine, la grande cucina francese è grande, ma abbastanza omogenea, perché la Francia è da più di 500 anni che è una nazione e vale lo stesso anche per la Spagna. Tutti ricercano una biodiversità della qualità della cucina, noi italiani siamo privilegiati. Ma dobbiamo stare attenti a non cancellare questo patrimonio importante e a mantenere queste differenze, e dobbiamo assolutamente basare quel che facciamo sulle differenze. Se noi vogliamo fare una cucina italiana copiando gli spagnoli, sbagliamo. Se vogliam farla copiando i francesi, sbagliamo. Se vogliam farla copiando i nordici, sbagliamo. Dobbiamo sapere cosa fanno gli altri, per credere sempre in più in quel che facciamo noi.

CINITALIA: So che Lei è il re dei prosciutti italiani, secondo lei, quali sono i punti di forza dei prosciutti italiani e del suo prosciutto in particolare? Sa che in Cina abbiamo un prosciutto con una lunga tradizione, il "Jinhua". Ne ha mai sentito parlare?

M: Come ho detto prima, la tradizione continua. Noi non abbiamo smesso di fare nessun altro lavoro di quelli che facevamo. In tutte le cose che noi facciamo, il primo punto d'arrivo è la qualità: che è sì migliorabile, ma senza perdere tutto quello che ci ha reso famosi nel mondo fino a quel momento. Si dice che è il re del salume, in Italia e forse anche al mondo; sicuramente è uno di quei prodotti che è sempre stato apprezzato e che è sempre stato sulle tavole dei grandi. I grandi sono i regnanti di allora, erano i condottieri, erano quelle persone che gestivano il mondo di allora. Non è cambiato niente, ancora oggi il nostro culatello è sulle tavole più importanti del mondo. Questo vuol dire che è un grande prodotto. Un grande prodotto che non è solo fumo, ma dove c'è ancora molto arrosto.

L'Asia mi attira, mi piacciono gli asiatici. Mi piacciono tutti quei popoli che hanno ancora tanta cultura alle spalle, dove c'è ancora un senso della famiglia, dove c'è ancora un senso di appartenenza. Purtroppo, le nuove generazioni, specialmente in Europa, questo senso lo stanno probabilmente perdendo. Io trovo, invece, che nelle popolazioni asiatiche questo ci sia ancora. Si impara sempre da chi porta avanti una tradizione, da chi viene cresciuto in famiglia con certi valori e principî. Per queste ragioni mi piace l'Asia, ma più che altro penso che da dove c'è tanta tradizione , sia a livello culinario sia a livello di stile di vita, alla fine porti sempre qualcosa a casa. Noi diamo qualcosa, ma portiamo anche a casa tanta esperienza. D'altronde, il mondo è fatto ormai di scambi. Noi siamo coinvolti spesso in questi scambi. Non ho mai incontrato il "Jinhua", ma sarei curioso di conoscerlo, anche perché quello cinese è un popolo con tante tradizioni, anche a livello culinario. Quando le tradizioni vengono avanti, sicuramente c'è qualcosa di buono, quindi mi farebbe molto piacere valutarlo, senza confrontarlo con i nostri salumi, ma tenendo conto della mentalità cinese e di quella asiatica.

CINITALIA: A quale aspetto Lei ha prestato particolare attenzione quando insegnava ai suoi studenti? Oggi cosa considera importante quando diffonde la cultura gastronomica italiana? Ci sono cose che Lei ancora desidera studiare in ambito gastronomico?

M: Penso che questo, alla fine dei conti, sia un lavoro dignitoso con un'etica professionale. Il cibo è una cosa seria. Quindi, il cuoco deve essere dignitoso e, soprattutto, una persona per bene, che mantiene le sue promesse, che continua a studiare e che crede in quel che fa, impegnando la sua vita per portare avanti questo concetto. Il cuoco è sempre stato un creativo, è sempre stato una persona intelligente, è sempre stato una persona che metteva la sua vita al servizio degli altri, cercando una sua dignità in quello che faceva per gli altri.

CINITALIA: Lei ha lavorato in molti luoghi diversi e dunque è uno chef di grande esperienza. Ce n'è qualcuna in particolare che con i clienti le ha lasciato un ricordo più profondo? Infine, vorrei chiederle qual è per Lei una definizione valida di "gastronomia"?

M: Io sono uno di quelli che non sa tutto, tutti i giorni imparo qualcosa. Quando penso di sapere tutto, di aver già scoperto tutto di un ingrediente, capisco che comunque non l'avevo scoperto tutto. Quindi, io mi stupisco sempre quando vedo una cosa nuova e cerco sempre di prendere da ogni cosa quella percentuale di buono che ci può essere. Il cuoco comunque si deve avvalere di un sistema di cucina, che è fatto anche di chi porta le cose in sala, di chi serve un vino, di chi riceve gli ospiti. Noi siamo come degli artisti: un grande pittore deve avere dei grandi colori, ma poi deve essere lui che li mette insieme. Se siamo degli artisti importanti, facciamo delle buone opere d'arte. Se, invece, non siamo capaci, allora è meglio che cambiamo mestiere.

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