amo studiare la lingua cinese

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Davanti a me il foglio bianco.

La mia mano tiene dritto il pennello, in un gesto che da principio mi estraneo.

Lo poso, si muove.

Prima incerto e goffo, poi pideciso e lanciato.

Un'umida scia nera lo insegue, si staglia nitida sul fondo lucente.

Lentamente si asciuga; rimane.

Un tratto breve verso me; uno pilungo, in senso contrario.

Da una lunga gambetta balza verso l'alto un piedino.

Si fissa sul foglio il mio gesto, nel sollevare il pennello.

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un piacere conquistare pian piano confidenza col nuovo strumento.

Il segno si allarga.

Oppure avanza sottile, a seconda che io prema o che scorra leggero.

Soddisfatto proseguo.

Un tratto, poi l'altro.

Una croce, una bocca squadrata; due tratti, una linea.

Congiunti, staccati, incrociati.

Sono segni a formare altri segni, sovrapposti o di lato schierati.

Ciascuno sta, misurato, nel suo spazio assegnato.

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Studio, sperimento l'effetto del gesto sul foglio di carta.

Gradualmente mi accorgo che imparo.

Il movimento si fa pisicuro.

Sciolgo il polso, la mano, le dita.

Il pennello si sposta con loro, amplifica il gesto, lo traduce in un'orma.

L'impronta d'inchiostro descrive per sempre il passaggio di un pensiero fugace.

Sulla carta rimangono spazi, equilibri di bianchi e di neri.

Sono cenni ritmati.

Sembrano immagine dell'animo di me che li traccio.

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In italiano si dice che un segno vale mille parole.

Nella lingua cinese ogni parola giun segno.

Ciascuno esprime, da solo, un concetto. Insieme una frase, un discorso.

Tre gocce d'acqua sovrapposte, in colonna: radice del Popolo che nacque dal Fiume.

Caratteri dal carattere forte.

Tradizione di segni che imprigionano gesti e pensieri.

Movimenti uguali, interpretati diversi ogni giorno.

Da uomini e donne, da millenni e millenni.

E anche adesso, da me. Che apprendo ad amarli.

Ho finito.

Sollevo il foglio. Rileggo:

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