Una giornata a Lhasa
  2009-08-20 17:18:18  cri

Lhasa ci ha accolti con il suo benvenuto abituale: un cielo blu dissemiato di enormi nubi bianche, molto basse, vista l'altezza della città, 3700 metri sul livello del mare. L'abbiamo raggiunta dopo 4 ore di volo diretto da Beijing, coprendo una distanza di 3626 km. L'impatto all'arrivo è impressionante: monti rocciosi, il fiume Yarlongzambu uscito dagli argini per le recenti piogge, e molte case tibetane nuove lungo il centinaio di km che separano l'aeroporto di Gongar dalla città. In sè, Lhasa si è molto ingrandita rispetto alla mia ultima visita di 14 anni fa. L'albergo dove alloggiamo si trova nella parte occidentale sviluppata di recente, colma di zone residenziali, negozi e mercati. Una rapida visita stamattina al Barkor e alla zona sud-est accanto al fiume Lhasa mi ha fatto capire gli enormi cambiamenti avvenuti di recente: i vicoli del centro storico, piuttosto cadenti, sono stati ristrutturati, la mia trattoria tibetana di fronte al Jokang è sparita, sostituita da negozi turistici, e sul fiume Lhasa sono stati costruiti molti ponti. Quanto al Potala, sono state eliminate parte delle case del quartiere di Schol e tutti i nogozi sulla strada, lasciando il posto alle mura e all'ingresso monumentale, e ad un'enorme piazza di fronte. Gruppi di anziani pellegrini tibetani percorrono come sempre i percorsi rituali intorno al Potala, al tempio Jokang e alla città. Intorno alla moschea, i musulmani dal tipico berretto bianco si affiancano ai tibetani Kamba provenienti dal Sichuan, riconoscibili dai capelli lunghi tenuti insieme da un fiocco rosso e dai costumi tipici, mentre le bellissime donne di Lhasa, coi loro costumi marrone lunghi, sono come dei fiori che abbelliscono questa città dell'altopiano. La varietà di etnie che vi vivono è molto evidente: Tibetani locali, dal viso abbronzato, gli anziani con le loro toghe tipiche, i giovani in abiti moderni; Han provenienti dalle vicine province del Sichuan e del Qinghai, e Musulmani arrivati dal Kashmir secoli fa, o dal Xinjiang recentemente per fare del business. Le religioni professate sono buddismo tibetano, islamismo, e cristianesimo. Solo a Lhasa ci sono due moschee. Naturalmente il compito di far convivere bene persone così diverse non è facile.

Secondo le indicazioni del vice governatore della regione autonoma del Tibet, Baimachilin, che abbiamo incontrato oggi pomeriggio in una conferenza stampa, il 95% della popolazione della regione, pari a 2.870.000 persone, è di etnia tibetana. Il compito attuale del governo locale è permettere ai membri di tutte le etnie di migliorare le loro condizioni di vita. Robusto ed abbronzato, Baimachilin ci ha illustrato come la regione potesse essere molto più sviluppata senza le interferenze degli indipendentisti dall'estero. Dopo i danni della rivoluzione culturale, con la politica di apertura iniziata nel '79, per il Tibet è cominciata una nuova epoca: nel 1959 non esisteva neppure una strada nel vero senso della parola, mentre ora la regione possiede 50mila km di strade, di cui 4800 asfaltate, tutti i 230mila poveri ottengono l'assistenza sociale (la garanzia del livello minimo di vita), il piano degli alloggi offre delle case nuove a tutti i locali in difficili condizioni economiche, la corrente elettrica è ampiamente diffusa, e nel 2008 il reddito dei contadini e pastori è stato di 3100 yuan. Il turismo sta diventando un settore pilastro dell'economia regionale, ma per tutelare il fragile ambiente ecologico locale, vengono imposte delle restrizioni: per esempio il Potala ogni giorno ammette solo 2400 visitatori: per il biglietto, i turisti pagano 100 yuan, ed i pellegrini locali un simbolico 1 yuan. Il progetto dell'autostrada per il campo base dell'Everest è stato cancellato, mentre del personale apposito raccoglie i rifiuti lasciati da visitatori e scalatori. Lo sviluppo delle miniere d'oro e delle cave di sabbia è stato recentemente bloccato per motivi ecologici.

Quanto alla libertà religiosa, Baimachilin e l'assessore agli affari religiosi Apei hanno ribadito che i 1700 monasteri, i 40mila monaci e monache e i fedeli buddisti possono pienamente svolgere le loro attività religiose ufficiali e private. I monasteri non sono considerati delle strutture speciali, ma delle organizzazioni sociali che devono operare senza infrangere le leggi statali.

Il 58enne Baimachilin, nato in una famiglia di servi della gleba, ed educato nell'entroterra cinese, afferma di essere personalmente del tutto d'accordo con la politica etnica del governo centrale, basata sulla parità. Visti i recenti disordini etnici nel Xinjiang e a Lhasa l'anno scorso, alla domanda se la politica etnica statale sia valida o meno, ha risposto che a prevalere è sempre l'armonia etnica: nel corso dei disordini di Lhasa, Tibetani e Han si sono aiutati a vicenda, gli Han hanno portato i feriti Tibetani all'ospedale e viceversa, il probema sono gli agitatori esterni che intendono sabotare la stabilità esistente. Ora occorre fare un lavoro di ricucitura delle ferite, rendendo i rapporti fra le due etnie ancora più stretti. Naturalmente i disordini hanno ridotto le presenze turistiche, dimezzate rispetto alle 4 milioni del 2007.

Quanto alla preservazione della cultura etnica tibetana, ha affermato che ora nelle scuole si tengono corsi di musica, danza, artigianato, calligrafia, e arti tradizionali, e ricordato che lo Stato spende capitali enormi nel restauro dei monumenti.

Nel corso della conferenza stampa di oggi, il giovane vice-sindaco di Lhasa Chen Zhichang ci ha illustrato l'imminente Festival dello Yoghurt, che inizierà domani, e gli sforzi del governo municpiale per mantenere il contenuto originale affiancandolo ad aspetti moderni. Inoltre il Tibet sarà anche presente all'Expo 2010 di Shanghai, a cui si sta preparando con entusiasmo.

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